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PATROCINIO: ROBA DA RICCHI
L’art. 24 della Costituzione, oltre a riconoscere la difesa
dell’individuo quale diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento,
al terzo comma dispone che “Sono assicurati ai non abbienti, con appositi
istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”.
Il diritto alla difesa, dunque, oltre ad essere
costituzionalmente riconosciuto è anche costituzionalmente garantito a chi non
dispone di mezzi sufficienti. L’istituto preposto a ciò è il cosiddetto gratuito
patrocinio, recentemente novellato ed inserito nella parte III del Testo Unico
in materia di spese di giustizia (D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115).
Il neoinnesto normativo ha integralmente abrogato la lg.
134/2001, recante modifiche alla lg. 217/1990 sull’istituzione del patrocinio a
spese dello Stato per i non abbienti, non limitandosi a coordinare e ricalcare
la relativa normativa esistente, ma in parte innovandola.
Fra le tante disposizioni, destano interesse quelle contenute negli artt. 80 e
81: il primo dispone che chi è ammesso al patrocinio può nominare un difensore
scelto tra gli iscritti negli elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese
dello Stato; il secondo enumera i requisiti che l’avvocato deve presentare
affinché il Consiglio dell’Ordine d’appartenenza accolga la sua richiesta ad
essere iscritto nell’apposito elenco. Questi requisiti sono tre: a) attitudini
ed esperienza professionale; b) assenza di sanzioni disciplinari; c) anzianità
professionale non inferiore a sei anni.
Dal tenore letterale dell’art. 80 del T.U. sembra che i soli
avvocati inseriti negli elenchi possano svolgere la difesa di un soggetto
ammesso al gratuito patrocinio (si veda, in proposito, il comunicato del
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma del 23/6/2002); dunque, sarà utile
osservare più da vicino i requisiti necessari all’iscrizione.
Il primo non è di facile interpretazione: secondo alcuni si
deve ritenere soddisfatto quando ricorrono i presupposti di cui alle lettere b)
e c), poiché altrimenti si attribuirebbe al Consiglio dell’Ordine un potere
meramente discrezionale di difficile controllo; è possibile, piuttosto, che il
Legislatore intendesse richiedere l’indicazione delle attitudini e delle
effettive esperienze professionali, in modo da indurre la persona indagata o già
imputata a scegliere un avvocato preparato nella materia oggetto del processo.
L’assenza di sanzioni disciplinari, invece, deve essere
totale dato che né il secondo comma dell’art. 81 del T.U. né il terzo comma, che
dispone la cancellazione dall’elenco nel caso in cui intervenga una sanzione
disciplinare, operano alcuna distinzione tra tipo, natura ed effetti delle
sanzioni.
Tuttavia, se si considera il semplice “richiamo”, che non
esplica particolari effetti sull’esercizio dell’attività dell’avvocato, si è
portarti a credere che il rigore della norma sia eccessivo.
Riguardo al requisito sub lettera c), non si coglie la ratio
della disposizione che richiede un’anzianità professionale non inferiore a sei
anni; i primi due requisiti, infatti, sono più che sufficienti a garantire i
diritti dell’imputato non abbiente.
La possibilità per un avvocato di diventare “Cassazionista”
dopo soli cinque anni di attività forense grazie al superamento dell’apposito
esame previsto per legge; il diritto di iscriversi nelle liste dei difensori
d’ufficio allo scadere del secondo anno di anzianità e, addirittura, quello -
anche del praticante abilitato - di diventare difensore d’ufficio con la sola
partecipazione al corso semestrale organizzato dal Consiglio dell’Ordine di
appartenenza, fanno sorgere il dubbio che qualche cosa non va.
Da quanto esposto, infatti, consegue l’assurdità che un
avvocato “cassazionista” possa non essere idoneo alla difesa per gratuito
patrocinio, e che il difensore d’ufficio non iscritto alle liste del gratuito
patrocinio debba operare la difficile scelta di difendere l’imputato non
abbiente assegnatogli dallo Stato senza che lo Stesso gli riconosca onorari e
spese (in altre parole dovrebbe lavorare gratuitamente), ovvero fare apposita
istanza motivata al Giudice al fine di essere sollevato dall’ufficio.
La Corte Costituzionale, con l’ordinanza del 19 giugno 2002
n. 299, si è pronunciata in merito alla legittimità costituzionale dell’art.
17-bis della legge 217/1990 che, seppur ormai abrogato dall’attuale T.U., pure
richiedeva l’anzianità di sei anni per l’iscrizione agli elenchi del gratuito
patrocinio, decidendo per la manifesta infondatezza della questione.
Secondo la Consulta l’esplicazione del diritto di difesa,
inteso come diritto di scegliere liberamente il proprio difensore (art. 24 Cost.),
nonché come diritto a non essere discriminati rispetto agli altri imputati (art.
3 Cost.), non sarebbe leso dal meccanismo previsto poiché esso, lungi dal
rappresentare una scelta irragionevole del Legislatore, rivela “l’esigenza di
particolare dignità e qualità che…deve permeare l’esercizio di una prestazione
avente connotazioni e riflessi peculiari di carattere pubblicistico, connessi
alla natura del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, in relazione
al quale, per un verso, vengono impiegate risorse economiche della collettività
e la cui necessità, sotto altro profilo, origina da una situazione di debolezza
economica del singolo”.
Bisogna puntualizzare, tuttavia, che L’art. 117 del T.U.
dispone: “L'onorario e le spese spettanti al difensore di ufficio della persona
sottoposta alle indagini, dell'imputato o del condannato irreperibile sono
liquidati dal magistrato nella misura e con le modalità previste dall'articolo
82…”, cioè secondo la procedura prevista per il gratuito patrocinio, senza
prevedere però distinzioni tra avvocati senior, junior e praticanti abilitati.
Insomma, anche per l’imputato irreperibile vengono utilizzate risorse economiche
della collettività; perché in questo caso non vi sarebbe un’esigenza di
particolare dignità e qualità nella difesa tale da rendere necessaria
l’iscrizione nell’apposito elenco?
L’art. 82 T.U., inoltre, prevede che “L'onorario e le spese
spettanti al difensore sono liquidati dall’autorità giudiziaria con decreto di
pagamento, osservando la tariffa professionale in modo che, in ogni caso, non
risultino superiori ai valori medi delle tariffe professionali vigenti relative
ad onorari, diritti ed indennità, e previo parere del consiglio dell'ordine,
tenuto conto della natura dell'impegno professionale, in relazione all’incidenza
degli atti assunti rispetto alla posizione processuale della persona difesa”:
questo meccanismo, da solo, è già più che sufficiente a garantire le risorse
economiche della collettività perché il doppio ostacolo rappresentato dal parere
del Consiglio dell’Ordine e dal decreto giurisdizionale è insormontabile anche
per il meno “coscienzioso” degli avvocati.
In generale, poi, a parità di onorari corrisposti, l’impegno
profuso nella difesa non varia col mutare del soggetto obbligato al pagamento
(in questo caso lo Stato); esso, semmai, varia in ragione della difficoltà della
causa o, al limite, dell’interesse del professionista a conservare il cliente.
Riguardo alla “…situazione di debolezza economica del
singolo” ci si domanda in che modo essa sarebbe maggiormente garantita dal
veterano: che l’avvocato dell’indigente debba essere particolarmente corretto
dal punto di vista etico-morale è fuori di dubbio, tuttavia tale integrità non
si acquista col decorso del tempo; tutti gli avvocati che non hanno subito
sanzioni disciplinari sono formalmente onesti e, dunque, tutti devono poter
essere scelti dal potenziale cliente, altrimenti viene limitato il cd intuitus
personae; il povero non è un individuo incapace di valutare la rettitudine e
quest’ultima può riscontrarsi anche tra coloro che, pur presentando un’anzianità
professionale inferiore a sei anni, non hanno subito alcuna sanzione
disciplinare.
L’art. 140 del D.P.R. 115/2002, inoltre, palesa
un’inequivocabile discriminazione fra avvocati ed altri professionisti: questa
norma dispone che “chi è ammesso al patrocinio può nominare un difensore scelto
ai sensi dell'articolo 80 o un difensore scelto nell'ambito degli altri albi ed
elenchi di cui all'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre
1992, n. 546 e successive modificazioni”. In altre parole, nei giudizi innanzi
alle Commissioni Tributarie, sono abilitati alla difesa per gratuito patrocinio
anche i dottori commercialisti, i ragionieri e i periti commercialisti nonché,
limitatamente ad alcune materie, i consulenti del lavoro, gli ingegneri, gli
architetti, i geometri, i periti edili, i dottori in agraria, gli agronomi e i
periti agrari, senza che presentino particolari requisiti; si assiste, in
pratica, al paradosso che mentre gli avvocati devono offrire le qualità della
rettitudine e dell’anzianità e devono richiedere l’iscrizione in un albo
speciale, i dottori commercialisti e tutti gli altri professionisti elencati,
per l’esercizio delle stesse funzioni, non ne hanno bisogno.
La disciplina sul gratuito patrocinio, per altro, per come è
strutturata può indurre anche la persona facoltosa a rivolgersi agli avvocati
iscritti alle liste, perché sono già selezionati dall’ordinamento per la loro
preparazione, rettitudine e comprovata esperienza professionale, con il
conseguente rischio dell’emergere di una casta elite precostituita dalla legge,
di una contrapposizione tra pochi avvocati di serie A e molti di serie B, tra
avvocati ricchi ed avvocati poveri, ricchi di cultura giuridica, di esperienza e
di clienti.
Come se non bastasse, ed a testimonianza che la novella qualche problema lo
presenta, si consideri che, con decreto del 5 ottobre 2002, il Giudice Dott.
Valerio Savio della Settima Sezione Penale del Tribunale di Roma ha ammesso al
gratuito patrocinio un imputato difeso da avvocato non iscritto alle liste,
grazie ad una ineccepibile interpretazione del dettato normativo nel senso che
“…in nessuna norma del DPR 115/2002 la nomina, da parte di chi chiede
l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, di un Difensore con anzianità
professionale inferiore a sei anni o in genere non iscritto agli elenchi di cui
all'art. 81 è prevista quale causa di inammissibilità dell'istanza di
ammissione: e che ciò, significativamente, non avviene neanche nella
disposizione in cui viene istituita una causa di inammissibilità con riferimento
alla nomina del Difensore, vale a dire nell'art. 91 lett. b), laddove come si è
visto si stabilisce l'inammissibilità dell'istanza ove si nomini più di un
Difensore di fiducia;…”, interpretazione che, tuttavia, lo ha forzato ad
argomentare “che il combinato disposto degli artt. 80-81 stesso DPR finisca con
l'avere una rilevanza tutta interna all'ordinamento della professione forense,
per effetto dell'indiretta creazione di null’altro che di una norma deontologica
relativa alle modalità di acquisizione della clientela che impone ai non
iscritti agli elenchi di cui all'art. 81 di non accettare incarichi fiduciari da
chi chiede di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato (norma la
violazione della quale rimane quindi in ipotesi sanzionabile solo in sede
disciplinare nell'ambito della discrezionalità in materia del Consiglio
dell'Ordine degli Avvocati )”.
Concludendo, alla luce di quanto esposto, sarebbe auspicabile
un intervento del Legislatore (si veda, in proposito, la proposta di Legge a
firma On. Gaetano Pecorella, n. 3017, approvata il 23 dicembre 2002 ed in attesa
di esame al Senato), o investire del problema la Corte Costituzionale, che
purtroppo finora ha avuto occasione di decidere solo circa la legittimità
dell’abrogata disciplina – contenente peraltro disposizioni simili - riguardo ai
diritti degli indigenti, non anche riguardo ai rapporti intercorrenti tra questi
e le persone abbienti, per le quali una difesa qualificata quanto quella offerta
gratuitamente ai primi sarebbe estremamente onerosa, e nemmeno riguardo ai
rapporti tra i diversi partecipanti allo stesso ordine degli avvocati;
l’esclusione dall’esercizio dell’attività professionale per gratuito patrocinio
di alcuni fa sorgere qualche dubbio di costituzionalità.
(Dott. Marco Cesetti)